E la chiamano estate

E la chiamano estate

Attesa profumata di scandalo per uno dei tre film italiani del Festival di Roma, l’opera terza – e straordinariamente coerente – di Paolo Franchi che prende il titolo da un hit anni ’60, inserisce la Pavone quando meno te lo aspetti e fa tappa nei dark club per scambisti. Il regista non fa sconti sull’happy end e racconta, sulla scia di Antonioni di cui è discepolo, la storia di un uomo che non sapeva amare, che adora Anna ma non ci fa l’amore perché ha un Io diviso fra Sentimento e Sesso, la nevrosi attuale in epoca di realtà virtuale. E anche lei si adegua.Così Dino (nome moraviano, dalla “Noia”) si distrae con prostitute e combinazioni tra scambisti, interrogando gli stupiti ex amanti della donna. Isabella Ferrari è brava e coraggiosa interprete (nella prima scena appare nuda come nel quadro di Courbet sull’origine del mondo) accanto a Jean-Marc Barr e Filippo Nigro, cui spettano le pose e gli atti più scostumati. Prova dura, sospesa nel vuoto di un’epoca: lo spettatore ci deve mettere del suo. Franchi tiene alla morale: “L’amore vero sta nella condivisione del dolore”. Il film è letterario ma vissuto, pone una questione ghiotta per la psicanalisi. E’ un autore che si butta a capofitto e non si nasconde, vedi “La spettatrice” e “Nessuna qualità agli eroi”: forse è una trilogia con costanza di ragione e stile. Per informarsi sui fatti Franchi ha visitato anche dei club di scambisti trovando fauna di varia e numerosa umanità piena di gioiosa voglia trasgressiva. E avverte: “Attenti, io non do giudizi”.

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