Holy spider

Holy spider 3

Titolo originale: Id.

Se n’è parlato poco da noi ma Holy Spider, il thriller in concorso per la Palma d’oro al 75° Festival di Cannes di Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese, sa davvero di piccolo cult, anche se nessuno lo sa ancora. Saeed Hanaei (Mehdi Bajestani), soprannominato il Ragno, è un padre di famiglia tutto casa, lavoro e Allah. Segretamente, però, di notte gira per le strade sporche di Mashad per fare piazza pulita delle prostitute. L’uomo adesca le donne, per lo più tossiche senza speranza, e le strangola con il loro stesso chador, abbandonando i loro corpi nei terreni circostanti. Tutto fila liscio e la polizia locale si interessa a malapena al caso, quando da Tehran arriva una donna, la giornalista Rahimi (Zar Emir-Ebrahimi, premiata Migliore Attrice), che si finge una prostituta per dare la caccia al killer e svelare le contraddizioni di una cultura estremista e misogina. Il film di Abbasi, si ispira a un fatto realmente accaduto, la storia del serial killer Saeed Hanaei (1962-2002), che tra il 2000 e il 2001 uccise 16 prostitute soffocandole a morte, con la missione di liberare le strade di Mashad dalla corruzione del sesso, accusando le donne di essere portatrici di un “virus” letale, insidioso e sporco, capace di portare alla perdizione i maschi del luogo e di rovinare le loro sacre famiglie. Abbasi, al suo terzo lungometraggio, dopo aver giocato con i generi con Shelley (2016) e Border (2018), affronta la tematica del femminicidio e della cultura machista islamica senza fronzoli e giri di parole, trasformando una trama convenzionale in un momento di riflessione unico, che colpisce dritto allo stomaco. Il suo film si serve di una fotografia lucida e materica, delle interpretazioni impeccabili di Bajestani e Zar Emir-Ebrahimi, e delle musiche angoscianti di Martin Dirkov, per immergerci nella vita corrotta e malata di Saeed, nel suo pensiero misogino, che rispecchia quello delle istituzioni e della gente comune, una società che giudica e condanna in nome del suo dio. Abbasi prende di peso da Maniac (1980) di Lustig e Zodiac (2007) di Fincher, ma arricchisce il suo Killer Ragno di un fascino tutto suo: ci porta nella sua mente malata e in una mentalità maschile, prima ancora che religiosamente fondamentalista e ambigua, costringendoci a guardare spesso con i suoi occhi. Holy Spider mostra il killer e l’uomo, il buono e il marcio, parte di un’unica entità, disturbata e disturbante. Le prostitute sono la radice del male, e come tali, vanno spazzate via, gettate tra i rifiuti, essendo esse stesse corpi spazzatura, ricettacolo di perdizione e malattie. Ma Abbasi non si limita solo a dare un volto al killer, mostra le prostitute e le loro diverse personalità: donne sole e consapevoli della propria condizione, disumanizzate dagli uomini e dal sesso, da una società che condanna e non perdona. Abbasi cattura il bravissimo Mehdi Bajestani, ritraendolo per strade che dovrebbero essere in Iran, ma che per non scendere a compromessi sono state ricreate in Giordania. Strade sporche, volutamente fuori fuoco, che sembrano assorbire il marciume del suo protagonista. Holy Spider è un film duro, spietato, che grazie alla violenza evocata e non solo mostrata, si spoglia dei generi per diventare qualcos’altro. Un film ibrido, visivamente affascinante e terribile. Sporco, come le mani imbrattate di sangue e gli occhi vitrei e spenti del suo sconcertante assassino.