I tuttofare

I tuttofare 1

Titolo originale: Sis dies corrents

I tuttofare sono gli operai di una piccola azienda alla periferia di Barcellona e, nell’epoca delle specializzazioni, sono dei veri factotum che aggiustano tutto, senza farsi troppi problemi. Ma è il titolo originale a darci una chiave di lettura meno didascalica: Sis dies corrents, cioè “sei giorni di fila”, il periodo in cui Moha, giovane idraulico marocchino, dovrà convincere Valero, il principale della ditta, a farsi assumere in vista del pensionamento dell’anziano Pep. Partendo da qui, ci appare evidente che il film della catalana Neus Ballùs non si limiti a raccontare i personaggi considerati a partire dalla loro qualifica professionale, quanto piuttosto a collocare i suoi antieroi all’interno di un’indagine sociale che è anche racconto popolare. È un’operazione raffinata, quella della regista, che rinnova i parametri del cinéma vérité prendendo tre persone chiamate a interpretare se stessi ma anche le versioni romanzesche di se stessi, così da poter ricercare un’autenticità totale, capace di incidere perché in equilibrio tra la testimonianza del documentario e la forma della finzione o della sua rielaborazione. Le relazioni tra i tre protagonisti e i loro rapporti con i clienti – anche loro reali – sanno essere credibili proprio perché sgorgano dalla normalità e rispecchiano un approccio umanista che mette al centro l’uomo e non l’azione. Scegliendo la contaminazione come chiave d’accesso alla vita e alla sua comprensione meno didascalica eppure parimenti limpida, Ballùs scandaglia uno specifico tranche de vie – precisamente evocato dal titolo, a sua volta allusivo di quella “acqua corrente” che si riferisce al mestiere degli idraulici – per misurare lo specifico all’altezza di un contesto più universale: quello di un mondo globalizzato e allo stesso tempo ancorato ai ritmi e alle usanze di qualche decennio fa, tenace nel preservare l’empatia dell’apparato umano e diffidente rispetto alle novità e ai corpi estranei. Attraverso la versatilità della sua anima militante, l’autrice fa aderire le marche tipiche del cinema del reale a un film che sa e vuole porsi in dialogo con il pubblico, mettendo in campo tematiche come i conflitti generazionali, i pregiudizi sociali, i divari socioculturali senza relegare il film alle secche di un distaccato monologo, all’afonia di un discorso a tesi, all’elencazione priva di approfondimento. Esito di un lavoro lungo sei anni, I Tuttofare è un film sintonizzato sulle onde del nostro tempo eppure – o proprio perché – figlio di una tradizione che dallo statuto neorealista arriva alle rivendicazioni di Ken Loach fino alle sperimentazioni del Pedro Pinho di A fábrica de nada. Nello sguardo di Ballùs fiducia e interesse per i destini dei suoi personaggi, ma a colpire davvero sono la volontà di non rinunciare al coefficiente di leggerezza, l’intesa tra interpreti e autrice, l’osservazione dell’orizzonte urbanistico. Al Festival di Locarno 2021, gli inediti Valero Escolar e Mohamed Mellali hanno vinto il premio per la migliore interpretazione.