La figlia oscura

La figlia oscura 3

Titolo originale: The lost daughter

Sola in una località di mare, Leda osserva ossessivamente una giovane madre e la figlia in spiaggia. Turbata dalla complicità del loro rapporto (e dalla loro famiglia, chiassosa e sinistra), Leda è sopraffatta dai ricordi legati allo sgomento, allo smarrimento e all’intensità della propria maternità. Un gesto impulsivo catapulta Leda nello strano e minaccioso universo della sua stessa mente, in cui è costretta a fare i conti con le scelte anticonformiste fatte quando era una giovane madre. Per il suo debutto nella regia Maggie Gyllenhaal sceglie di trasporre il romanzo “La figlia oscura” di Elena Ferrante. Ne cambia la geografia, spostando la vacanza che si concede la protagonista dal sud Italia a un’isola greca, ma ne mantiene le coordinate narrative: un periodo di solitudine in cui una donna matura, rispecchiandosi in una giovane mamma che frequenta la sua stessa spiaggia, ripercorre il suo vissuto di madre. Un ruolo che le ha causato grandi conflitti perché disallineato con l’apparente sentire comune che vuole lo spirito materno dominante su ogni scelta di vita. Ciò che la Gyllnehaal, anche sceneggiatrice, imbastisce è lo scavo di un personaggio che viene sviscerato e mostrato in tutte le sue contraddizioni: da una parte il desiderio di scendere a patti con il proprio sentire, dall’altro l’incapacità di farlo accettandosi fino in fondo, con la mannaia del senso di colpa e del mancato riconoscimento sociale a gravare sul proprio sentirsi centrati. Il film è privo di grandi eventi, ma nella ripetitività di giornate che scorrono sempre uguali, all’insegna di un ozio poco rilassante e del costante rimuginare, costruisce una progressione dove le consapevolezze aprono varchi alla comprensione di sé. Il presente è interrotto da echi del passato attraverso flashback esplicativi che chiariscono le cause del dissidio interiore della protagonista, una bambola sottratta diventa perno intorno a cui ruota la solidarietà delle due protagoniste, una telefonata riaccende (un po’ bruscamente) la speranza. La Gyllenhaal non osa granché dal punto di vista visivo e riveste il film di una patina indipendente (taglio intimista, macchina da presa spesso manuale addosso ai personaggi, luce neutra che non esalta la presunta bellezza dei luoghi, ripetitività come motore narrativo), forse un po’ convenzionale ma in grado di trasmettere ciò che le interessa: il disagio di una donna nel districarsi tra i ruoli sociali. Scelte musicali brillanti e originali puntellano piacevolmente la scansione degli eventi. Più di Olivia Colman, a rischio maniera nel connotare un personaggio volutamente respingente, sulla scia della regina Anna de La favorita da cui la protagonista sembra discendere, colpisce l’intensità di Jessie Buckley che la interpreta da giovane. Al festival di Venezia 2021, dove è stato presentato in concorso, ha vinto il premio per la sceneggiatura.

Luca Baroncini, da spietati.it