La pittrice e il ladro

La pittrice e il ladro 3

Titolo originale: Kunstneren og tyven

Passato lo scorso anno al Sundance Film Festival, dove ha vinto il Premio Speciale della giuria, il documentario di Benjamin Ree ricostruisce l’incredibile vicenda di Barbora Kysilkova, artista iperrealista ceca trasferitasi ad Oslo, dove nel 2015 due delle sue opere più importanti sono state trafugate dalla Galleria Nobel. Dopo aver letto la notizia su un giornale, il regista norvegese, classe 1989, ha seguito i suoi protagonisti per oltre tre anni. Dopo il furto infatti, i due ladri sono stati individuati e arrestati in breve tempo, ma solo uno dei due si è presentato al processo. Si tratta di Karl-Bertil Nordland, un tossicodipendente con alle spalle un’infanzia segnata dall’abbandono della madre e un’adolescenza trascorsa tra cattive compagnie, piccoli reati e uso di droghe. In tribunale Barbora lo avvicina, spinta dalla curiosità di capire chi sia davvero Nordland. Davanti ai suoi occhi infatti il ladro altro non è che un uomo profondamente pentito e sofferente. Ed è proprio quella sofferenza, quel dolore, a divenire forza attrattiva per Barbora, che chiede a Nordland di posare per lei. Ree segue con la sua macchina da presa le sessioni di ritratto nello studio di Kysilkova e il progressivo – e inaspettato – legame d’amicizia che si instaura tra i due. Barbora sostiene Karl-Bertil nel suo percorso di disintossicazione, nel periodo di riabilitazione dopo un grave incidente in auto, lasciandosi travolgere da un’oscura forza autodistruttiva in cui Ree riconosce il fulcro del legame tra la pittrice e il ladro. Da sempre attratta dal dolore, dalla sofferenza e dalla morte, le opere di Kysilkova infatti sono segnate da un’atmosfera cupa e inquietante. Sarà Øystein, compagno dell’artista, occhio esterno e testimone obiettivo, ad esplicitare e problematicizzare le ragioni di quel rapporto così insolito e potenzialmente rischioso. Barbora e Karl-Bertil si sono visti e riconosciuti, rispecchiandosi l’uno dentro l’altra. Lo sguardo di Ree scava nell’interiorità dei suoi protagonisti, lasciando emergere da una parte le luci di un decent criminal, come lo stesso Nordland si definisce nelle lettere all’amica, così come le ombre di Kysilkova. Il rapporto di dipendenza dalle droghe di Karl-Bertil è lo stesso che Barbora ha con la pittura, febbrile e maniacale, che diviene via di fuga dai problemi quotidiani, tra difficoltà economiche e crisi di coppia. La pittrice è attratta dalla sofferenza del ladro perché è la sua stessa sofferenza. Quella profonda incapacità di entrambi di prendersi cura di sé e la tendenza all’autosabotaggio. Ree è abilissimo nel creare una circolarità, una connessione tra parole e immagini, anime lacerate e corpi tatuati, che oltrepassano le ragioni profonde di un legame sorprendente, ragionando sul potere catartico e la natura intrinsecamente umana dell’arte. E lo fa procedendo con ritmi da film thriller che mutuano dal cinema di finzione la suspence e i colpi di scena, pur mantenendo il rigore osservativo del documentario. Fino alla bellissima – e del tutto inattesa – immagine di chiusura. L’ultima opera dell’artista che si ricongiunge alla sua fonte d’ispirazione, il tassello finale in cui è racchiuso l’intero senso del film.