Maigret

Maigret2022

Titolo originale: Id.

Diretto da Patrice Leconte e liberamente basato sul romanzo "Maigret e la giovane morta", questo nuovo Maigret cinematografico e sorprendente e affascinante. Merito di un immenso Depardieu, ma non solo. Com'è malinconico, stanco, intristito. Grigio. Un Maigret per certi versi quasi irriconoscibile. Inappetente, per dirne una. Che gli levano la pipa all'inizio del film, per ragioni mediche, e lui nemmeno protesta. Continua a bere, quello sì, per fortuna. E però, pur così diverso, Maigret è sempre Maigret: nei suoi modi, nell'intelligenza, nella sua umanità. Leviamo subito da torno ogni possibile equivoco: con "Maigret e la giovane morta", il romanzo di Simenon cui Patrice Leconte e il suo co-sceneggiatore (e dialoghista!) Jérôme Tonnerre si sono ispirati, questo Maigret non ha tantissimo a che fare. La trama - quella che vede il commissario indagare, appunto, sulla morte di una ragazza senza nome ritrovata in strada - è presa come spunto per deviazioni di vario genere, e sono diversi i personaggi così come gli esiti delle investigazioni. Ma questo poco importa. Importa che l'identità di Maigret, con tutte le differenze del caso, e le atmosfere di Simenon qui siano riprodotte e rispettate, senza mai dimenticare le esigenze di autonomia del cinema e degli autori di questa nuova storia. Com'è splendidamente autunnale, l'ingombrantissimo Maigret di Gérard Depardieu, che si cala nella parte con una grazia che fa quasi a pugni con la fisicità massiccia, che diventa ancora più malinconico di fronte a quella giovane senza nome ritrovata sul selciato, e a una ragazza come lei, come tante altre, come la figlia, sua, che non c'è più, e che torna solo in echi discreti di risate infantili. Maigret - questo Maigret, tutti i Maigret - non giudica, non condanna, non è giustizialista né moralista.  Maigret si muove cauto, cercando di spostare il meno aria possibile, creando meno disturbo possibile, implacabile nelle domande ma tollerante con le risposte. Perché conosce bene l'uomo e la sua fallibilità, il dolore che si annida nell'animo umano. L'elefante Maigret si muove nella cristalleria della fragilità umana, con l'eleganza e l'equilibrio di una ballerina, attentissimo a non fare più danni di quanti non sia strettamente necessario fare, perché sa benissimo quanto sia difficile mettere assieme i cocci quando si va in pezzi. E allora, oltre a non fare danni, Maigret aggiusta. Come  sa, come può, rimettendo sulla giusta strada, la strada di casa, l'unica ragazza che ha potuto proteggere, aggiustare, salvare. Con i modi bruschi e silenziosi dei padri di una volta. Sul finale del film, di questo bel film che ha, anche lui, i modi e i tempi di una volta, Maigret sembra ringalluzzirsi un po', riprende in bocca la pipa, abbozza perfino qualche sorriso. Perché risolve il suo caso, certo, ma perché è riuscito in quel che gli stava più a cuore: fare del bene. Fare, a modo suo, il padre. E il modo in cui, nel finale, e nell'andatura lenta, stanca e pesante, ma allo stesso modo serena e aggraziata di Depardieu, si mescolano il sollievo per quella missione compiuta, e l'amarezza per quanto nella vita non si potrà mai aggiustare, non è cosa da poco.