Parigi, 13Arr.

Parigi 13arr. 1

Titolo originale: Les Olympiades

Émilie è una giovane di origine cinese che vive a Parigi, nel 13esimo arrodissement, nell’appartamento della nonna, da tempo in ospedale malata di Alzheimer. Per gestire economicamente l’appartamento mette un annuncio al quale risponde Camille, un afrodiscendente che deve iniziare a insegnare in un liceo lì vicino. Tra i due scatta la scintilla erotica, ma solo Émilie è davvero innamorata. Nel frattempo nel quartiere si trasferisce da Lione anche Norma, decisa a riprendere gli studi universitari nonostante abbia trentatre anni… Tutti s’innamorano di tutti, ne Les Olympiades, ma soprattutto tutti sembrano alla ricerca di un senso non solo della vita, ma dell’esperienza collettiva che la vita dovrebbe portare con sé. Già, la vita collettiva, quel dettaglio che quasi due anni di pandemia ha reciso dalla memoria del popolo, e che il film cerca di ricordare, e di tornare a raccontare. Una panoramica aerea sulle torri di Olympiades, con la camera che spia in maniera fuggevole nei diversi appartamenti: in uno c’è un televisore acceso, in un altro una persona è seduta al tavolo della cucina. Con uno stacco di montaggio la ripresa da esterna si fa interna: su un divano Émilie, di origine Taiwanese e Camille, afrodiscendente, cantano al karaoke completamente nudi, per poi fare l’amore. Inizia così la nuova regia di Jacques Audiard selezionata nel concorso principale del Festival di Cannes, dove ha già vinto in passato la Palma d’Oro con Dheepan, il Grand Prix della giuria con Il profeta, e il premio per la sceneggiatura con Un héros très discret. Pur rientrando perfettamente nella cifra stilistica di Audiard, come testimoniano gli scarti registici, la scelta delle inquadrature, il ritmo che muove l’intera struttura, è impossibile non considerare Parigi, 13Arr. come un’opera a sei mani, le cui qualità il regista di Sulle mie labbra, Tutti i battiti del mio cuore e Un sapore di ruggine e ossa deve necessariamente condividere con le due cineaste con cui ha collaborato in fase di scrittura. La sceneggiatura è infatti firmata anche dalla quarantaduenne Céline Sciamma e dalla trentaduenne Léa Mysius, autrice in proprio di Ava e Le Cinq Diables ma sceneggiatrice per Arnaud Desplechin (I fantasmi d’Ismael e Roubaix, une lumière), Stefano Savona (La strada dei Samouni) e di nuovo Téchiné (L’Adieu à la nuit). Il quasi settantenne Audiard, per riuscire a raccontare la gioventù contemporanea, condivide il lavoro con due colleghe di un’altra generazione, nessuna delle due parigina (Mysius è di Bordeaux, mentre Sciamma è nata a Pontoise, una quarantina di chilometri a nord della Capitale) ed entrambe nate quando l’idea di città futura celata nel progetto urbanistico di Olympiades era stata già ampiamente trasformata in realtà.  La modernità prorompe con forza da Parigi, 13Arr., trascinando con sé un’aria di possibilità che suona utopica, favolistica come il finale dolcissimo del film, eppure non priva di escoriazioni e cicatrici. Il merito va anche all’ottimo cast dominato dalle luminose intepretazioni di Lucie Zhang, Makita Samba e Noémie Merlant.