Sesso sfortunato o follie porno

Sesso sfortunato 1

Titolo originale: Babardeala cu bucluc sau porno balamuc

ORSO D’ORO MIGLIOR FILM BERLINO 2021

Non ingannino la confezione kitsch, gli eccessi grotteschi o il titolo scherzoso. Quello di Radu Jude è un film molto complesso. E benchè non stia scritto da nessuna parte che non si possano fare film complessi pur giocando con la messinscena, è possibile che questo crei talvolta un po’ di confusione tanto negli spettatori quanto nei critici. Del resto un film che si apre con le immagini di un video pornografico amatoriale - ricostruito ma comunque estremamente spinto - potrebbe faticare a essere preso sul serio. E invece – sebbene poi nel film ci sia molto altro – basta anche solo questa libertà linguistica affinché si avverta la forza espressiva del cinema di Jude. La storia è quella di Emi, una professoressa di liceo, il cui filmino intimo e privato fatto in camera da letto insieme al marito finisce accidentalmente su PornHub e arriva fino agli smartphone di studenti e genitori della scuola. Il film – diviso in tre capitoli e altrettanti possibili finali – racconta la giornata in cui la donna dovrà incontrare gli organi scolastici e i genitori degli alunni chiamati a votare su un suo possibile licenziamento. Il video porno è soltanto un pretesto, l’intento del regista è quello di innestare le proprie riflessioni a partire dall’individuazione del senso del termine oscenità: «che cos’è l’osceno? Come lo definiamo?» si chiede Jude. Ma come per molto del cinema romeno contemporaneo, i ragionamenti intorno a un tema banale, quotidiano o ispirato a fatti di cronaca e a situazioni consuete (nella fattispecie una discussione fra amici durante una cena, afferma il regista), diventa l’occasione per scavare ben oltre la superficie e spingere i concetti al limite del paradossale. Il regista con una tecnica di montaggio vecchia quanto il cinema manifesta quella quotidiana oscenità che, a differenza di quella sfacciata di un video pornografico, fatichiamo a vedere o siamo abituati a ignorare. Restituendo al cinema quel ruolo rivelatore cui rimanda il mito di Medusa citato nel film (lo schermo, come lo scudo di Perseo, ci permette di sostenere la vista di una realtà che se non fosse riflessa, ci travolgerebbe). Ma, risalendo all’indietro, aiuta a comprendere ancora meglio il primo capitolo. Quello in cui Emi vaga per la Bucarest di oggi, quella del 2020 sommersa come il resto del mondo dalla pandemia, in attesa di recarsi all’incontro a scuola. Un momento narrativamente inconsistente ma cinematograficamente sbalorditivo per la capacità del regista di costruire un universo di senso attraverso, anche qui, gli strumenti più elementari del linguaggio cinematografico: lievi panoramiche a seguire la protagonista per le strade, movimenti di macchina indipendenti che colgono e fissano piccoli dettagli. Con personaggi e luoghi immersi in una quotidianità asfissiante in cui ognuno, con la sua mascherina indosso, agisce in una dimensione di indifferenza.