Tori e Lokita

Tori Lokita 1

Titolo originale: Tori et Lokita

Marginalità, immigrazione, lavoratori e povertà sono da sempre al centro della scena del cinema dei fratelli Dardenne; da cui, stilisticamente, il famoso e nervoso pedinamento dardenniano dei personaggi in azione (personaggi a cui le disgrazie non mancano mai), i primi piani mai intrusivi, l’occhio della videocamera che si muove in piano sequenza con i protagonisti nello spazio scenico, un occhio palesato ma alla giusta distanza. Un marchio di fabbrica, imitato da molti. Qui, una camera fissa apre il film sul volto di Lokita (una straordinaria Joely Mbundu), intenta a rispondere a una raffica di domande fuoricampo che i componenti della Commissione, deputata a stabilire se la ragazza africana abbia diritto a un permesso di soggiorno in Belgio, le stanno ponendo: come è possibile che abbia riconosciuto il suo fratellino Tori (l’altrettanto fantastico Pablo Schils) senza mai averlo visto e solo andando in un orfanotrofio del Benin? Come faceva a sapere il suo nome, visto che è stato proprio l’orfanotrofio a darglielo? La ragazza è in difficoltà e l’intervista viene sospesa. Dalla fissità dell’inquadratura dell’incipit si passa al movimento che sarà poi quasi incessante: nel ritrovare la strada stilistica e narrativa, i Dardenne con questo film tornano infatti spesso sui passi del febbrile lavorio della povera Rosetta o sull’andirivieni di Marion Cotillard che aveva “Due giorni, una notte” per salvare il proprio impiego in fabbrica. Anche Tori e Lokita hanno parecchio da fare, tra cui saldare i conti con i trafficanti che li hanno portati in Europa. Scena dopo scena scopriamo quanto sia ferale l’ambiente in cui si muovono e quanto i due ragazzi siano in difficoltà, soprattutto Lokita che non ha avuto il permesso di soggiorno e dunque è clandestina in territorio belga. E’ molto giusto che i due registi lascino in sospeso a lungo la risposta circa il fatto se Tori e Lokita siano davvero fratello e sorella o abbiano inventato tutto solo per far passare l’“esame” alla ragazza, che a quel punto sarebbe la naturale tutrice del più piccolo. La verità è che non importa, essendo comunque fratelli di sventura, uniti come solo i sopravvissuti possono essere, così uniti da travalicare pericolosamente le brutali regole imposte dal trafficante di droga dopo che Lokita viene scartata dalla Commissione… Il rapporto tra i due protagonisti è forte e credibile; Tori, dodicenne sveglio, prodigo di energie e idee, è pieno di vita; i Dardenne girano benissimo: in alcuni momenti la telecamera sembra aderire all’aria, seguendo le azioni con una fluidità e una naturalezza invidiabili. Tutto quello che nel film può andar male ci andrà, in una catena impossibile da spezzare fatta di scelte avventate in un contesto completamente ostile, in un inanellarsi di sfortune irrevocabili.  La tesi del film, naturalmente, è dimostrare quanto poco siamo accoglienti in Europa: una tesi ben sintetizzata dalla canzone di Branduardi “Alla fiera dell’Est” che i due ragazzi cantano in italiano, avendola imparata in Sicilia dove inizialmente sono sbarcati.