Europa

Europa

Il gioco dei rimandi cinefili (anche puramente “di genere” nonostante la natura “civile” del film) è piuttosto stratificato con un’operazione come quella di Europa: da Boorman al Guerrilla di Soderbergh passando per le ispirazioni più esplicite tra Van Sant e ovviamente 1917 o Iñárritu (anche al di là dei titoli per il cinema del regista messicano, pensiamo ad esempio all’installazione Carne y Arena). Si tratta senza dubbio dell’exploit più radicale del regista d’origine italo-irachena Haider Rashid, che si era fatto conoscere per un bel doc sul rap italiano, Street Opera: per poco più di un’ora, l’autore rimane incollato al suo protagonista Kamal – il ragazzo vuole attraversare clandestinamente il confine tra Turchia e Bulgaria ma deve sopravvivere tre giorni nella fitta foresta pattugliata dalle spietate milizie locali di “cacciatori di migranti” che non esitano ad aprire il fuoco. La cospicua somma versata ai trafficanti umani per il viaggio non è bastata a proteggerlo dall’imboscata dei mercenari. Dialoghi ridotti all’essenziale, sfida di sopravvivenza tra gli alberi, le rocce e gli specchi d’acqua di un paesaggio che parla solo di morte (ai riferimenti posti qua sopra potremmo addirittura aggiungere Essential Killing di Skolimowski): Rashid e il suo miracoloso d.o.p. Jacopo Maria Caramella frammentano la fuga di Kamal in mini-piano sequenza volti a restituire formalmente il trambusto interiore nell’animo del protagonista, ora stranianti ora concitati e tumultuosi. Ma il film opera anche delle ellissi nettissime con un montaggio (curato dallo stesso regista insieme a Sonia Giannetto – i due sono anche gli autori dello script) che alterna continuamente la stasi al salto nell’azione improvvisa. La trappola dell’impianto dalla facile indignazione “sociale” di certo cinema nostrano è così evitata. Il meccanismo riesce a mantenere una tensione costante anche internamente alle singole sezioni, soprattutto quando Kamal incontra sconosciuti e deve realizzare in un attimo se si tratta di amici o di potenziali assalitori: la sequenza nella capanna dove rifocillarsi in velocità prima che chi ci abita ritorni, ma soprattutto il frammento nell’auto della donna che sembra ben disposta ad accompagnare il ragazzo in ospedale. Il giornale radio inizia a parlare in una lingua che non conosciamo, e il clima nell’abitacolo muta istantaneamente, il nervosismo si fa palpabile: anche se entrambi sperimentano la non-inclusività del linguaggio, Kamal è ovviamente lontano dal personaggio da comica muta interpretato da Riccardo Scamarcio in Verso l’Eden di Costa-Gavras, che aveva un assunto simile. In questo caso, la via crucis letteralmente ascensionale (la fuga è sempre verso l’alto, verticale, tra scalate e arrampicamenti) del protagonista si offre anche come evidente tour de force tecnico e realizzativo, accettando anche il rischio che la perizia, indubbiamente impressionante in più di un istante, possa paradossalmente raffreddare quell’empatia ricercata anche attraverso i cartelli e le dediche iniziali e finali.