L'arminuta

LArminuta 3

L’arminuta è il nuovo lungometraggio diretto da Giuseppe Bonito, recentemente in sala con Figli (2020). Il titolo, ispirato all’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello nel suo anno di uscita, il 2017, è una profonda esplorazione delle divergenze tra classi sociali italiane negli anni ’70, vissuta attraverso l’esperienza di una ragazzina. L’arminuta vive un’esperienza terribile e rivoluzionaria: la protagonista, infatti, dopo aver vissuto per tutta la sua esistenza in compagnia della zia e dello zio, che l’hanno cresciuta come una figlia, ritorna al suo nucleo familiare originario, dai suoi genitori di sangue (“arminuta” significa “ritornata” nel dialetto locale). Il passaggio è traumatico, specialmente perché incontra un cambiamento mastodontico: dalla bolla dell’aristocrazia, passa a delle condizioni di vita umili e misere. Oltre a cambiare lo status sociale, inoltre, anche a livello culturale ed educativo c’è, dal suo punto di vista, una regressione. Un trauma che, almeno nelle prime battute, sembra essere insostenibile per la giovane, chiamata troppo presto a crescere in un ambiente duro che non sembra appartenere al 1975, anno in cui è ambientata la pellicola. Ecco che quindi, come mostra in modo evidente il copione, le relazioni che instaura con la sua nuova famiglia hanno un sapore del tutto particolare: sono distaccate e fredde all’inizio, ma piano piano crescono in positivo, rivelando una capacità di adattamento straordinaria. Tutti questi elementi narrativi, seminati in sede di sceneggiatura con molta arguzia, sono degli ottimi spunti di riflessione sui più strati: il film non si riassume, quindi, come una semplice critica sociale, ma ha altre sfaccettature decisamente più importanti per lo spettatore. Si parla del ruolo della maternità, dello strazio e del dolore causato dalla perdita dell’amore che, a seconda del contesto, è espresso attraverso atteggiamenti diversi, ma ugualmente votati al bene incondizionato. Il copione, inoltre, lavora molto bene sul dialetto popolare e sulla dizione, usandola spesso come arma di discrimine delle due realtà presentate: in questo senso, il valore del linguaggio è importantissimo. L’arminuta è una pellicola notevolissima che spinge la realtà cinematografica italiana su alti livelli: la regia di Giuseppe Bonito, matura ed elegante, riesce ad esprimere, con semplici e chiari passaggi, la complessità del romanzo di riferimento, utilizzando parecchie immagini esplicite e rimarcando più volte l’argomento centrale del film, il distacco tra ambienti sociali differenti. La sceneggiatura, seguendo a doppio filo la macchina da presa, evoca un’alienazione sia di forma (con l’utilizzo di diverse forme di linguaggio) che contenuto, descrivendo perfettamente la condizione psicologica della protagonista, una ragazzina che ha una crescita esponenziale all’interno della sua vita e che figura come la perfetta narratrice dell’intera realizzazione.