Ad Africo, un paesino arroccato nella valle dell'Aspromonte calabrese, alla fine degli anni '50, una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo e perché non esiste una strada di collegamento. Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal sindaco. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capeggiati da Peppe, decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi I bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l'opera. Giulia, la nuova maestra elementare, viene dal Nord, e vuole insegnare l'italiano. Ma per il brigante don Totò, quello che detta la vera legge, Africo non può diventare davvero un paese “italiano”. Il film è una favola arcaica color fango e miseria, un racconto simbolico e nostalgico che esprime una mitologia familiare e un'appartenenza territoriale tanto genuinamente (e visceralmente) sentita quanto lontana dalla quotidianità di Calopresti e del produttore Lucisano. In modo semplice la sceneggiatura punta il dito contro I mille freni al progresso in Calabria, dalla miseria che toglieva I figli dalle scuole per trattenerli nei campi al senso proprietario dei genitori terrorizzati all'idea che “se costruisci la strada tuo figlio sarà il primo a partire”; dall'ignoranza che rende impossibile viaggiare anche solo con la mente all'omertà che impedisce agli ultimi di denunciare I propri taglieggiatori. Ispirato al romanzo di Pietro Criaco, il film racconta lo strazio autentico di chi ha visto I luoghi della propria infanzia spopolarsi e diventare paesi fantasma, e il legame fortissimo che continua a vivere in chi è docuto andare via, come il padre di Calopresti, emigrato a Torino per sfuggire a un destinoi segnato e crearne uno migliore per il figlio.