L'ora più buia

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Titolo originale: Darkest Hour

Fin dalla prima, turbinosa inquadratura, dopo la breve introduzione di repertorio, sappiamo che siamo in un film di Joe Wright: l’aula del parlamento britannico, dove va in scena la scelta del leader che guiderà una Gran Bretagna messa in ginocchio dalla guerra, è un palcoscenico teatrale, un carillon survoltato come quello entro cui era rinchiusa la sua Anna Karenina. Il regista inglese si è già cimentato con l’eco di quelle bombe, sotto le quali soccombevano i personaggi di Espiazione, dalle quali volava via il piccolo Peter di Pan – Viaggio sull'isola che non c'è; ma da sempre, ciò che a Wright interessa non è la Storia, ma una storia, l’incanto sempiterno dell’artificio. Anche questo Winston Churchill è un’invenzione, una fiaba. La favola di un primo ministro che, durante la guerra e in piena emergenza, scappa dall’autista e prende la metropolitana per parlare col suo popolo, e per percorrere una sola fermata impiega sei minuti: implausibile? Certo, perché il cinema di Wright non ha alcun interesse per la verità, per la concretezza dei fatti. Ciò che a Wright interessa, e che ben conosce, è il peso specifico delle immagini: il massiccio profilo con sigaro di Churchill (non basterebbero tutte queste righe per elogiare la prova di Gary Oldman, capace di farci dimenticare che c’è lui dentro le protesi del protagonista; di farci dimenticare perfino che quelle protesi esistono – e giustamente è stato premiato con l’ Oscar 2018) è icona, è mito, è innesco del racconto. Per questo L’ora più buia è un fanta-biopic, l’unico antidoto alla piatta performance di “realismo aumentato” di Dunkirk.

Sito WEB del film

Link IMDB

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