A Ciambra

A Ciambra

A Ciambra, Gioia Tauro, comunità rom, il cinema dell’italostatunitense Carpignano ci era già stato. La famiglia Amato era protagonista del corto/premessa precedente, e Pio era già in Mediterranea, lungo d’esordio con il nigeriano Koudous Seihon tra i moti di Rosarno. Come un cinema di famiglia, dunque, nomade in Calabria, cosmopolita tra le baracche, con un ponte per le Americhe: Martin Scorsese è produttore esecutivo, E nel film Pio cerca di essere un re della terra selvaggia: padre e fratello sono in carcere, i debiti sono da pagare, Equitalia si presenta, la mafia non aspetta. Tocca a lui. Preadolescente, sigaretta in bocca, primi umori d’amore, tutto un anarchico principio di piacere con il reale che incombe, “ho visto anche zingari felici” canterebbe Claudio Lolli, certo, ma anche no. E così questo cinema che si prospetta come uno scorcio etnografico, un prelievo di verissimo vivere dentro la ciambra, finisce per correre sulle mean streets del racconto criminale: gli strumenti sono quelli del cinema del reale, il film è costruito passo passo insieme ai protagonisti, basato sul loro esistere, fatto delle loro parole, delle loro abitudini, sino a incanalarsi verso un action noir che sa di Scorsese appunto.

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