Finchè c'è prosecco c'è speranza

Finchè c

Le verdi colline del Trevigiano, i contorni dorati dei grappoli d’uva sotto le rifrazioni solari. Si avverte la volontà di un inno al piacere delle piccole cose nel debutto di Padovan, che si traduce nel più classico dei gialli, con delitto e colpevole da individuare. Il mix di intrigo e provincia veneta  vanta in Italia ascendenti nobili, ad esempio “Signore & signori”, il capolavoro di Pietro Germi Palma d’Oro a Cannes 1966 anch’esso ambientato nel Trevigiano. Senza raggiungere quelle vette di feroce e crudele satira del perbenismo veneto, il film di Padovan, che porta su grande schermo il romanzo di Fulvio Ervas in una versione che – a partire dalla locandina che si rifà ai Gialli Mondadori – si compiace della propria natura “rustica”, offre comunque un buon ritratto dell’ipocrisia contemporanea. Il neo-canone della commedia etilica del Triveneto viene qui traslato in una storia di mistero e corruzione, che pone al centro personaggi senza scrupoli alla ricerca di profitto. A entrare in collisione sono “due Veneti” differenti, quello sotterraneo e ambiguo, legato al malaffare, e quello tradizionale e genuino, retto sulla buona coscienza degli umili. Nel mezzo, a cucire il tutto, tra un bicchiere di prosecco e l’altro, indaga un ispettore bonaccione, un personaggio alla Maigret, cui dà vita l’ “habitué” del filone, il ciccio Giuseppe Battiston. La macchina da presa, da parte sua, indugia su panoramiche aeree con movimenti dal particolare al globale, atte ad esaltare il magnifico paesaggio collinare dietro il quale si nascondono nidi di vipere.

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