Titolo originale: En Guerre
Un lotta sindacale, una guerra. Fatta di strategie d'attacco e di difesa, di richieste e concessioni, di territori da conquistare, ritmata dai comandamenti di Sun Tsu. Qui, in esergo, c'è Brecht: “Chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso”. Un manifesto. Da qui Brizé costruisce, con stralci di storie verissime, la vicenda di un'ipotetica fabbrica che un gruppo tedesco vorrebbe chiudere, lasciando 1.100 persone prive di lavoro. Una fabbrica che produce profitto, in una regione depressa. Una fabbrica che deve essere bloccata per “scarsa competitività” sul territorio globale. Soluzione? “Delocalizzare”, senza pronunciare l'inelegantissima parola. La guerra di Laurent (Vincent Lindon), rappresentante sindacale e combattente, passa da qui: come è possibile abbandonare 1.100 persone in nome dell'anaffettiva e astratta “legge del mercato”? Radicalmente, e politicamente, nelle lunghe e tesissime scene che Brizé giustappone non esiste un solo e unico protagonista: non ci sono primi piani, non c'è un'unica voce/parola/persona, ci sono moltitudine, frasi su frasi, corpi che intralciano, rumore audio, caos video. Il punto è il dialogo. Il tentativo di dialogo interno, tra le correnti sindacali, tra chi vuole cedere terreno in nome dell'interesse personale e chi no, perché vuole che sia fatto quello che è giusto. E dialogo esterno, con i dirigenti, che parlano un linguaggio differente, garbato, glaciale. Capitale umano ed economia fatta a numeri. Due modi differenti di usare, pesare e “dare la parola”, due differenti morali, due linguaggi che non possono trovare un linguaggio comune.