La sala professori

0121356 ifProductions JudithKaufmann

Titolo originale: Das Lehrerzimmer

CANDIDATO AGLI OSCAR 2024 - MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE

Una delle tante buone decisioni prese dal regista e dal suo co-sceneggiatore è che il personaggio principale, la giovane insegnante Carla Nowak, non è un’insegnante di tedesco. Né insegna religione o storia, nessuno di quegli argomenti che vengono in mente quando un regista vuole raccontarci le difficoltà della coesione sociale. Le materie della protagonista sono matematica e sport: discipline di prevedibilità ed evidenza da un lato; di equità, spirito di squadra e prova di forza dall’altro. I migliori presupposti per permettere al centro emozionale della storia, la prof, di confrontarsi col suo contenuto profondo: qual è la verità, e possiamo conoscerla? Ciascuna delle immagini claustrofobiche e labirintiche del film, dovute anche al formato 4:3, contribuisce a scandire l’odissea della protagonista. Vestita con top vecchio stile nei toni del marrone, con un’acconciatura poco appariscente e uno sguardo vigile e concentrato, la giovane educatrice più percorre, determinatissima, le stanze della scuola, più appare intrappolata in una ragnatela di stipiti e corridoi. Un’altra buona scelta di sceneggiatura è quella di non fornire alcun indizio per identificare immediatamente la finalità dell’azione drammaturgica. All’inizio, tutto sembra infatti possibile, il film potrebbe evolvere in una favola di successo oppure in uno scoppio di follia omicida. Questa scuola tedesca, con le sue stanze spaziose e pulite, non è un istituto per ragazzi problematici e neppure una fabbrica per sfornare membri della élite, ma qualcosa che sta nel mezzo: una scuola per i giovani del ceto medio, compresi, naturalmente, quelli con un background migratorio. Ma, quando aumentano i furti nella scuola, è necessario intervenire. E questa azione si rivela sempre più difficile quanto più si discute all’infinito sull’accaduto. Perché, al di sopra di tutto, c’è una legge, la “politica di tolleranza zero”, come non si stanca di sottolineare la direttrice della scuola. Nel film, questa legge mette in moto una sorta di tragedia classica, perché è proprio nel soddisfacimento di questa legge che risiede la trasgressione, e più si desidera evitare ciò che va evitato più quest’ultimo paradossalmente si realizza, implacabile. La telecamera si concentra quasi sempre sul volto della Nowak. Il più piccolo indurimento del suo volto mostra come l’insegnante trovi sempre più difficile seguire la propria bussola morale. La musica riflette questo inquietante attrito tra l’essere con o contro l’altro mediante dissonanze concertanti di archi e accordi monotoni pizzicati al ritmo di marcia di un soldato. Nessuno, alla lunga, può essere considerato buono e giusto in un modello sociale che rende impossibile la risposta dei responsabili e quindi “confonde” tutti. L’ambigua battuta finale mostra che il rimanere seduti è forse l’ultima opzione praticabile per rifiutarsi a una società che si crede, sbagliando, perfetta. L’etica talebana della Nowak, il suo voler venire a capo del furto di una somma di denaro assolutamente irrilevante, crea una cascata giustizialista che, nella sua drammaticità e radicalità, ricorda il destino di Michael Kohlhaas nel memorabile racconto di Heinrich von Kleist. Il film ci dice anche che, dove finisce la legge, comincia l’ingiustizia e che è difficile distinguere tra giudizio e pregiudizio. Si arriva così al Foucault di “Sorveglianza e punizione”, alle bolle virali di una società completamente normata e disciplinata.

Alberto Morsiani