Un anno difficile

anno

Titolo originale: Une année difficile

È una cosa di cui ho bisogno? È una cosa di cui ho bisogno adesso? Due domande bastano a Toledano e Nakache per strutturare un film alle loro abituali regole di base, l’impegno politico ed un tono da commedia, si tratti di fare luce sui problemi legati all’handicap come avviene in Quasi amici, di questioni inerenti i permessi di soggiorno in Samba, o dell’affresco corale di C’est la vie, che da una festa di matrimonio riesce a mettere in tavola un’allegra lotta di classe. Il tema stavolta è il sovraconsumo ed il Black Friday, con la sua spinta all’acquisto sfrenato e compulsivo, l’obiettivo numero uno di un gruppo di manifestanti del quale fa parte Valentine, una sempre più eclettica Noémie Merlant, che dopo le collaborazioni con Audiard, Garrell, Sciamma e Field, interpreta stavolta il ruolo di un’attivista ecologica. Il sistema capitalistico, che fa della mercificazione l’unica rappresentazione del mondo e trova la complicità delle banche, non fa che accelerare la rincorsa verso il disastro ambientale. Alle loro battaglie fatte di azioni dimostrative, proteste di piazza, blitz nei convegni o nelle sfilate di moda, fino ai picchetti all’ingresso dei centri commerciali, si intrecciano le storie di Albert e Bruno, entrambi rovinati dai debiti, e che cercano di risollevarsi dalla catastrofe finanziaria con l’aiuto di Henri, volte e voce di Mathieu Amalric. Albert è un addetto all’aeroporto, ma ormai non ha più neanche una casa dove vivere. Bruno è depresso dopo la separazione dalla moglie ed anche lui è finito sul lastrico. L’inerzia iniziale si muove da un incontro fortuito, poi una trama sentimentale, con Valentine trasformata in un pudico oggetto del desiderio, si sviluppa di pari passo con la storia principale. Usando epiteti come Cactus, Pulcino, Lexotan, praticando sessione di abbracci, rinunciando ai regali di Natale o parlando di una patologia contemporanea, l’eco-ansia, vengono affrontati discorsi importanti, che non rischiano mai di diventare noiosi in virtù di un montaggio pieno di ritmo. I due registi francesi anche stavolta non rinunciano al sorriso, a quel fondo di ironia che si rifiuta di finire nella tragedia per non alzare bandiera bianca. Il risultato è ottimo, fa suonare un campanello d’allarme ma resta aggrappato ad una speranza d’amore, alla voglia di guardarsi negli occhi e ballare un valzer prima di scambiarsi un tenero bacio.