Titolo originale: The Deer Hunter
Raccontò in un'intervista Michael Cimino che «ne Il cacciatore il problema è di condensare una guerra così varia in un limitato numero di minuti. Bisogna escludere qualsiasi logica e rifiutare la spiegazione, altrimenti il film durerebbe dieci ore. Così, ad esempio, non si può spiegare logicamente il ritorno, sano e salvo, di Michael da Saigon. Ciò mi ricorda la famosa domanda posta a John Ford: "Perché non abbattono i cavalli degli indiani?" e lui:" Perché se lo facessero non ci sarebbe più l'inseguimento" ». Queste dichiarazioni del regista ci introducono meglio di qualsiasi altra riflessione alla visione de Il cacciatore. Che non è certo un "film di guerra", né una storia che può essere affrontata razionalmente, come fosse un grande affresco sulla Storia degli Stati Uniti. Invece il film di Cimino è un viaggio nell'incubo della sconfitta, nel senso di disorientamento americano così diffuso negli anni Settanta. Insomma, a parte la presenza di De Niro, Il cacciatore è più vicino a Taxi Driver che a Platoon, per fare un esempio. Cimino costruisce il suo racconto attraverso dei momenti forti, quasi simbolici, tutti racchiusi nell'ottica di raccontare una comunità, un gruppo di amici, operai nelle acciaierie che passano le serate tra una birra e una partita al biliardo e che nella caccia trovano il loro momento topico di realizzazione e di libertà "maschile". Ma maledettamente "maschile" è anche la guerra e il Vietnam arriva all'improvviso, mentre la malinconia sale sui volti dei cinque amici che cantano al pub. E lì è direttamente l'inferno. Non tanto la battaglia, con le sue morti e i suoi orrori, ma un vero e proprio incubo ad occhi aperti, dove la scena celebre e drammaticissima della roulette russa costituisce una sorta di momento di formazione, allucinazione perversa di un mondo che ha perso ogni senso, logica amore e dignità. Ma il "dopo" non è la fine dell'incubo, perché Michael non riesce a reintegrarsi nella comunità, Steven scoprirà che la moglie lo ha tradito e sarà costretto in carrozzella, mentre Nick rimarrà direttamente a Saigon ormai completamente ossessionato e prigioniero del gioco della morte della roulette russa. Il cacciatore costituì, nel 1978, il momento più alto della sfortunata carriera cinematografica di Michael Cimino, cineasta tanto geniale quanto "maledetto" dall'industria Hollywoodiana. Il film prese ben cinque premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista Christopher Walken, miglior suono e montaggio) e fu un successo e anche uno scandalo in tutto il mondo. Suscitò scalpore la morte di alcuni ragazzi che, suggestionati dal film (e certamente non in 'buona salute mentale") avevano provato ad imitare i due protagonisti in una loro personale roulette russa. Resta nella memoria il momento cruciale della caccia al cervo, prima abbattuto dal "cacciatore" Michael poi, dopo l'esperienza della guerra, lasciato vivere con un colpo sparato in cielo. "Abbiamo percorso 400.000 chilometri in treno, aereo automobile per trovare gli esterni de Il cacciatore", disse Cimino. E il risultato è un'opera complessa, appassionata, viscerale, che regge come un grande classico il passaggio del tempo.