Titolo originale: Bernadette
Dietro ogni grande uomo c’è una donna ancora più grande. Questo potrebbe essere il sottotitolo giusto per il film. Che non è affatto un biopic. Cosa che viene affermata, con umorismo, proprio nell’incipit, con l’esibizione di un coro canoro che accompagna, come nell’antico teatro greco, tutto lo svolgimento. Certo, il film utilizza eventi reali, ma tutto il resto è immaginario. I suoi temi sono l’autoaffermazione e il femminismo, o meglio l’egualitarismo, perché Bernardette Chirac, nella straordinaria personificazione della Deneuve, vuole essere considerata degna dei sacrifici fatti per il marito. Un marito che è raffigurato come un maschilista vanesio, neanche troppo intelligente (non conosce neppure i nomi dei calciatori francesi della finale mondiale del 1998). Bernadette è stata eletta dalla Corréze e il suo senso politico è acuto. Ribellandosi al patriarcato, cambierà la sua immagine tra la popolazione francese e diventerà la più grande risorsa per la rielezione del 2002. Un’emancipazione che avviene in modo naturale ed è molto ben sviluppata nel corso del film. Il tutto con un umorismo che colpisce spesso nel segno. Anche le dimensioni più drammatiche, come il problematico rapporto con la figlia anoressica Laurence, i tradimenti o l’ictus del marito, vengono esplorate con leggerezza. Nonostante il divertimento provocato dalla vis ironica del personaggio e dagli ottimi tempi comici della regia, proviamo però un po’ di compassione per una donna che per anni è stata messa in una scatola e che si è giustamente stufata. E parteggiamo per lei, col suo processo di liberazione da una cappa soffocante cui contribuisce l’altra figlia Claude, quasi insopportabile nel voler mettere la museruola ad ogni istante alla madre. Ne scaturisce una commedia assertiva, mista a un racconto stilizzato, con il coro greco, i suoi canti, i suoi colori, i suoi vestiti, i suoi animali (tartaruga, cani), e afferma questo tono fin dall’inizio, in una chiesa, con il confessionale di un “fan di” prete e l’esilarante karaoke religioso. L’esordio di Léa Domenach, regista discendente di intellettuali e giornalisti, è la dimostrazione che si può far ridere senza essere cinicamente offensivi e senza cadere nell’agiografia. Un film biografico personalizzato, il ritratto di una donna che si vendica, di una moglie di un uomo di alto rango che non vuole più essere una carta da parati, come nella locandina del film. Evoca l’eroina, impersonata sempre dalla Deneuve, di “Potiche” di François Ozon, un’altra fantasia colorata con pennellate imponenti su una borghesia vecchio stile in cambiamento. La perfida vendetta di Bernadette, epitomizzata nello spietato finale, si rivela dunque una perfetta molla narrativa per l’umorismo attraverso la riaffermazione di sé. L’impresa della regista, che oltre alla Deneuve beneficia di un casting d’eccellenza, consiste inoltre nel proporci con Bernadette, anche, una figura pop apolitica e consumabile da tutti, in una logica macroniana contemporanea di cancellazione delle diverse correnti politiche: in un mondo in cui tutto è uguale, è quindi possibile entrare in empatia con un personaggio che non deve più affermare le sue convinzioni politiche.
Alberto Morsiani