Tatami

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Tbilisi, Georgia. Campionati mondiali di judo. L’iraniana Leile Husseini è in forma straordinaria e batte le avversarie una dopo l’altra. La medaglia d’oro è possibile. Ma la possibilità che in finale Leila possa incontrare un’atleta israeliana è sgradita alla Repubblica islamica. Arriva dunque l’ordine di ritirarsi dalla competizione: dovrà fingere un infortunio e abbandonare i mondiali. Oppure trovare il coraggio di prendere una decisione impossibile. L’israeliano Guy Nattiv e l’iraniana Ebrahimi sono consapevoli della forza intrinseca del conflitto a cui è sottoposta la protagonista e lo portano alla massima intensità, non aggiungendo distrazioni né altri elementi fondamentali al racconto. La lotta fisica diventa metafora di una lotta psicologica che è anche politica ed esistenziale, e trascende il singolo. Il bianco e nero delle divise judoka universalizza quest’idea e materializza la natura estrema del ricatto. La Georgia dove si svolge la vicenda è simbolo di frontiera, tra Europa e Asia, una frontiera che può essere momento di incontro oppure dolorosa sezione.

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